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Immagine del redattoreRoberto Pieralli

Relazione e Mozione Congresso SNAMI

Care Colleghe, cari Colleghi, gentili Ospiti, Amici

Vi do il benvenuto al XXXVIII Congresso Nazionale dello SNAMI.


Prima di iniziare la mia relazione voglio ringraziare tutti coloro che giornalmente lavorano per il sindacato a tutti i livelli, aziendale, provinciale, regionale e nazionale.

Politicamente quello passato è stato un anno turbolento che ha visto nell’estate un cambio di maggioranza governativa con la nascita di un nuovo esecutivo. Speriamo che non succeda come sempre accade in Italia che il nuovo governo butti quello che è stato fatto dal precedente senza valutare la positività dei provvedimenti, ma possa incidere solo dove l’attività del governo precedente non sia stata abbastanza efficace.

La spesa sanitaria italiana è molto più bassa che negli altri Paesi europei: per la sanità (pubblica e privata) i Paesi Ocse spendono in media 3.992 dollari pro-capite (a parità di potere d'acquisto) mentre in Italia ci fermiamo a 3.428 dollari.

La quota di popolazione che soffre di patologie croniche in Italia è inferiore a quella degli altri Paesi europei: buon livello di salute e basso livello di spesa confermerebbero l’efficienza della Sanità italiana. Ma stiamo velocemente perdendo il nostro vantaggio in termini di salute; e il processo di convergenza sui livelli (peggiori) degli altri Paesi sembra avere accelerato negli ultimi 10 anni, quelli del risanamento finanziario. Più colpita, oltre alle classi meno abbienti, la classe media, che evidentemente risente maggiormente della crisi e degli aumenti delle compartecipazioni.

In media a livello nazionale ogni medico di base ha un carico potenziale di 1.211 adulti residenti. A livello regionale esistono notevoli differenziazioni: per le Regioni del Nord, fatte salve alcune eccezioni, gli scostamenti dal valore medio nazionale sono positivi. In tutte le Regioni del Sud, il carico potenziale dei medici di medicina generale è inferiore al valore medio nazionale.

Dalle ultime rilevazioni in Italia vi sono 3.063 punti di guardia medica con 11.688 medici titolari ovvero 19 medici ogni 100.000 abitanti. A livello territoriale si registra una realtà notevolmente diversificata sia per quanto riguarda la densità dei punti di guardia medica sia per quanto concerne il numero dei medici titolari per ogni 100.000 abitanti.

Dagli ultimi dati disponibili si rileva essere state prescritte 578.843.225 ricette con un importo di circa 9 miliardi di euro, con un costo medio per ricetta di 15,42 euro. Il costo medio per ricetta risulta fortemente variabile all’interno del territorio nazionale registrando il valore minimo in Toscana (12,73 euro) e quello massimo (20,13 euro) in Lombardia.

Sono stati assistiti al proprio domicilio 1.014.626 pazienti, di questi l’83,7% è rappresentato da assistibili di età maggiore o uguale a 65 anni e l’8,8% è rappresentato da pazienti terminali.

L’Italia ha uno dei valori più bassi di posti letto per mille abitanti.

Da anni stiamo dicendo che vi sarà un grave problema per la carenza dei medici. Non siamo stati ascoltati. Il problema che prima veniva ventilato ha iniziato a materializzarsi in alcune zone del Nord, ma si presenterà sempre di più negli anni a venire, anche nelle regioni del Sud.

Chiunque viva in un paesino del Nord Italia ha avuto sicuramente esperienza di sindaci ed amministratori che si sono trovati spiazzati di fronte al pensionamento del vecchio medico ed alla quasi totale assenza di nuovi medici disponibili ad assumersi l’onere dell’assistenza di base dei loro cittadini.

Il passato governo ha cercato di mettere una toppa su questo enorme buco attraverso dei decreti che, probabilmente, riusciranno a risolvere alcune situazioni, ma che sicuramente non risolveranno il problema di base: l’imbuto formativo!

Non è possibile spendere soldi pubblici e far spendere soldi alle famiglie per formare medici che non hanno poi possibilità di formazione e specializzazione, necessarie all’instaurazione di un rapporto di lavoro con il SSN.

Non possiamo permetterci come Stato e non possiamo permetterlo come classe medica che i nostri sforzi vengano dilapidati da una classe politica inadeguata ed impreparata.

Deve esserci la certezza che per ogni medico che si laurea vi sia un posto nelle specialità o nel corso di formazione in medicina generale.

Basta imbuto formativo!

L’Italia può e deve formare i medici di cui ha bisogno.

A volte i politici parlano a vanvera, a volte dicono le cose che pensano senza freni inibitori.

Adesso io vorrei sapere dall’Assessore Venturi se, quando ha parlato durante un convegno, in quale delle due situazioni vada collocato.

Non possiamo accettare che il presidente del comitato di settore regioni sanità, che emana gli atti di indirizzo, sulle cui indicazioni si sviluppa la trattativa dell’ACN, parli in quel modo. Sminuisce il suo ruolo e l’autorevolezza del comitato che presiede.


Mi dispiace per quei politici che pensano che l’infermiere o il tecnico sanitario possano sostituire il medico.

Voglio riportare quanto affermato dal presidente di FNOMCeO Filippo Anelli: basta con i tentativi, visto la carenza di medici di ricorrere al task shifting. Non siamo in guerra e neppure un paese del terzo mondo.

Il Paese può e deve permettersi figure professionali diverse ed appropriate.

Noi lo diciamo in modo chiaro: vuoi fare il medico? Iscriviti a medicina!

Stiamo assistendo alla nascita di nuovi ruoli professionali quali lo psicologo di famiglia e l’infermiere di famiglia.

Ma vogliamo dirlo che dello psicologo dentro i nostri studi non sappiamo cosa farcene?

Lo psicologo non è un medico, ma essendo una figura specialistica andrebbe inquadrato all’interno dell’accordo della specialistica ambulatoriale. Se il medico di famiglia ha necessità dello psicologo invia lui il paziente. Non c’è bisogno di ulteriori figure che altro non farebbero che disorientare il cittadino.

Per gli infermieri di famiglia le cose sono diverse.

Noi collaboriamo da sempre con gli infermieri, molti di noi li hanno anche assunti e si preoccupano tutti i mesi di pagare loro lo stipendio.

L’infermiere ha una professionalità che il medico non ha. Non ha viceversa professionalità tipiche del medico. Non perché non è bravo, perchè non ha fatto medicina.


Dobbiamo avere una collaborazione con gli infermieri per dare al cittadino una cura migliore. La collaborazione è una cosa, l’infermiere di famiglia è un’altra cosa.

Non possiamo non parlare dell’Accordo collettivo Nazionale, ma per fare questo dobbiamo ripercorrere alcune tappe fondamentali, prima fra tutte la legge Balduzzi del 2012.

Non è un mistero che lo SNAMI abbia contestato i contenuti di quella legge sin dalla genesi e che era stato l’unico a dire, sei anni orsono, quelle che sarebbero state le storpiature che quella legge avrebbe causato.

Altri avevano visto in quella legge enormi possibilità per rifondare la medicina generale.

Adesso tutte quelle contraddizioni vengono a galla.

Pensiamo che la Legge 8 novembre 2012 n.189 sia una legge inadeguata nei modi e nei tempi, figlia della non conoscenza delle problematiche del comparto delle cure territoriali, nata anche dal non aver ascoltato chi quotidianamente vive, sul campo, i problemi.

Lo SNAMI ha detto sempre e sempre dirà, anche con parole forti, che non si possono accettare stravolgimenti, depotenziamenti e assenza di finanziamenti sulla medicina generale.

Non possiamo accettare nuove aggregazioni con altre figure professionali senza un finanziamento extra SSN che vada a ristoro dei pochi fattori di produzione già in essere.

Se così fosse correremmo il rischio di vedere una parte dei nostri emolumenti indirizzarsi al sostenimento di nuove forme organizzative.

Parimenti dobbiamo considerare una popolazione che invecchia ed in quella popolazione dobbiamo valutare anche l’invecchiamento dei medici.


Dall’emanazione della Balduzzi ci siamo focalizzati sui modelli delle forme organizzative, dimenticando che l’importante non è il contenitore ma il contenuto.

Non importa dove fai le cose, importa che cosa fai.

Ed allora l’errore che non si deve fare è proporre un modello unico per una realtà italiana che vede situazioni completamente differenti, spesso agli antipodi, con la consapevolezza che in metropoli, città, cittadine, paesi, piccole comunità, territori con popolazione sparsa non potrà mai funzionare un unico modello sanitario di assistenza. Così come nelle zone disagiate, disagiatissime e nelle isole minori.

Si deve differenziare la medicina rurale da quella metropolitana.

Non si possono considerare uguali medici anziani e medici giovani, medici che lavorano in città con migliaia di abitanti e medici che lavorano nel paesino con 1000 abitanti sparsi nelle campagne e sulle montagne. Medici che lavorano con diversi ospedali nel raggio di due chilometri e medici che il primo ospedale lo hanno a 30-40 km di strade di montagna.

Dobbiamo decidere che sanità dare al cittadino e su quel modello ragionare sulle forme delle aggregazioni.

Va potenziata la telemedicina che, soprattutto al domicilio del paziente, nelle residenze sanitarie assistite e nelle zone rurali deve essere la valida risposta ai bisogni di salute della popolazione ed all’isolamento del medico di medicina generale.

Noi non vogliamo che il Dottor Watson o l’app Babylon Health si sostituiscano al medico tradizionale, ma per fare questo dobbiamo sviluppare dei modelli tecnologici che ci permettano di dare risposte concrete ai bisogni emergenti.


Va rivisto il sistema di accesso al pronto soccorso attraverso una responsabilizzazione del cittadino sul corretto utilizzo delle strutture d’emergenza e comunque dimensionando la struttura con personale ed attrezzature consone alle esigenze del momento.

Considerare che anche i codici bianchi e verdi che affollano il pronto soccorso siano segno della lungaggine dei tempi di attesa per gli accertamenti di routine e della ricerca del tutto subito e gratis. Molti pazienti accedono ai pronti soccorsi per propria autonoma decisione perché sia pure dopo lunghe ore di attesa si ricevono esami di laboratorio, strumentali e visite specialistiche pagando un minimo ticket, spesso notevolmente inferiore rispetto a quello che si pagherebbe normalmente.

Prendere seriamente coscienza che l’organizzazione, le dotazioni ed il personale sanitario attualmente impegnato in alcuni pronto soccorso sono attualmente sottodimensionati per le moderne esigenze del servizio.

Fenomeno reso più evidente dal mancato rafforzamento del personale in momenti stagionali di alta concentrazione di patologie dovute al caldo o al freddo, peraltro ampiamente prevedibili ed organizzabili.

Parimenti il taglio dei posti letto ospedalieri, senza aver fatto adeguatamente seguire una strutturazione idonea del territorio, crea la situazione per cui molti anziani dopo essere stati dimessi dal DEA arriveranno ad un domicilio dove l’assenza di un’assistenza strutturata e di adeguati care-giver faranno sì che lo stesso paziente ritorni al DEA dopo pochi giorni.

E parlando di emergenza urgenza non si può non parlare dei medici che operano in quel settore. L’Accordo collettivo Nazionale deve precisare meglio quelli che sono i loro compiti e le loro mansioni, per permettere loro di lavorare con più serenità. Il sistema deve permettere loro di poter scendere ad una certa età dai mezzi di soccorso e di trovare soluzioni lavorative adeguate quando non riusciranno più ad essere completamente idonei a quel tipo di attività.

Abbiamo fatto un buon lavoro nella contrattazione nazionale per i medici del settore penitenziario. La figura contrattuale che si è delineata durante le trattative ha permesso a molti colleghi di trovare la stabilizzazione lavorativa. Molto resterà da fare per la parte economica a livello decentrato.

La medicina penitenziaria è diversa da quella di famiglia. Il paziente che si trova in carcere non può essere paragonato a quello che in libertà decide quando e perchè andare dal medico.

La formazione va differenziata. Sono due professioni diverse.

Ho sentito parlare il ministro Speranza di nuovi modelli che permetteranno al medico di poter affrontare le sfide del futuro. Vorrei però ricordare al ministro che la categoria è stufa di investire su una professione che viene mortificata costantemente.

Trovi il Ministro, insieme al MEF, la soluzione per il finanziamento dei fattori produttivi al di fuori del fondo sanitario.

Qualcuno mi spiega perché il medico dipendente può fare, in un modo o nell’altro, la libera professione e noi che siamo libero professionisti veniamo limitati?

Qualcuno mi spiega perché se io assumo una segretaria e/o un’infermiera il ristoro economico che ottengo non copre la spesa che sostengo, sempre che uno sia fortunato a rientrare nelle percentuali?

Ma come? Io mi attrezzo per curare meglio i tuoi pazienti e tu stato mi penalizzi?


Non può funzionare.

Quando sento pronunciare che la medicina generale è al centro del sistema mi corre un brivido lungo la schiena.

Non è che ci mettono al centro per colpirci meglio?

Stato vuoi che la medicina generale ed il territorio siano il centro del sistema?

Attrezzali!

Vanno fatti investimenti sul territorio.

Vanno potenziate le residenze assistite.

Va finanziata la telemedicina.

Vanno riviste le ridicole quote con cui vengono remunerate le prestazioni (PIP) dei medici di medicina generale.

Va rivista la fiscalità della medicina generale (IVA, superammortamento, auto del medico e così via).

Vanno difesi con leggi ad hoc i medici, sempre più esposti a violenze di ogni genere, soprattutto considerando il fatto che sta aumentando la percentuale delle donne medico.

La cronicità è la sfida che il territorio ed in primis la medicina generale devono affrontare.

Noi questa sfida la accettiamo.

Siamo gli unici in grado di affrontare la cronicità.

E’ la nostra specialità.

Sembra strano parlare di specialità da parte di professionisti che non sono considerati specialisti. Ma noi non siamo specialisti.


Siamo Speciali.

Noi non conosciamo tutto di qualche cosa. Noi conosciamo le cose indispensabili di tutto.

Se per assurdo venisse affidato il nostro lavoro ad un’altra specialità di medici possiamo, senza superbia, affermare che il fallimento sarebbe dietro l’angolo.

Siamo unici nel nostro sistema sanitario e di questo dobbiamo essere fieri e forti.

Il rapporto fiduciario che abbiamo con i nostri pazienti non può essere sottovalutato, né da noi né dalla politica.

Come facciamo ad occuparci della cronicità se ancora oggi non possiamo prescrivere in autonomia alcuni farmaci? Come possiamo accettare di non poter prescrivere farmaci di cui ci assumiamo la responsabilità prescrittiva dietro la foglia di fico del piano terapeutico?

Oggi che le terapie taylor made sono e saranno la norma noi siamo fermi a poter prescrivere solo farmaci vecchi di anni.

Basta con questa sudditanza alla specialistica.

Siamo medici, siamo disponibili a formarci maggiormente nelle patologie croniche, ma ci venga data pari dignità sia nella diagnosi che nella cura.

La capillarità della nostra attività non può e non deve essere sacrificata all’altare di modelli ideologici la cui funzionalità è ancora tutta da dimostrare.

Non si può pensare di avere modelli discriminanti all’interno della categoria.


Chi ha scelto e chi sceglierà di fare il medico di medicina generale lo deve fare sapendo di scegliere una professione meravigliosa ed unica nel suo genere.

Noi abbiamo lottato tanto per i giovani. Lo abbiamo fatto perché crediamo nel nostro lavoro e vogliamo tramandarlo a loro come i nostri predecessori hanno fatto con noi.

Lo SNAMI non lascerà indietro nessuno!


Scegli il lavoro che ami e non lavorerai neppure un giorno in tutta la tua vita.

Confucio




 

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