Negli ultimi 15 anni il sistema ospedaliero - con particolare riferimento a quello dell’emergenza urgenza - è stato un po’ “truccato” e soggetto ad operazioni di puro e superficiale “maquillage” per nasconderne non tanto gli inestetismi ma le vere e proprie “crepe” strutturali portate e concausate non solo dalla pioggia di tagli, ma anche dalle “rivoluzionarie visioni progettuali di task shifting”.
E’ cosi che modelli organizzativi e qualche “trucco temporaneo” venivano attuati in modo da consentire a questo sistema in agonia di rimanere aperto nonostante la irrimediata precarietà, divenuta nel tempo sistemica.
La situazione di carenza risulta riscontrabile e documentata in Emilia-Romagna già nelle delibere della giunta regionale dal 2001, dove a fronte della difficoltà a reperire il personale, anche quando si sono presentate alcune possibili chances per potervi sostanzialmente porre un qualche rimedio (vedi per esempio la finestra del DPCM “Lorenzin”) le amministrazioni regionali hanno scelto di non sfruttarle.
Oggi è sotto gli occhi di tutti il fatto che quelle stesse lamentele che questo sindacato esponeva già dal 2010 si sono poi puntualmente verificate con una precisione del 100%, a testimonianza del fatto che tutti erano posti in grado di rendersene conto e nessuno poteva nascondersi dietro un dito rispetto a detta innegabile consapevolezza: purtuttavia nessuno di chi avrebbe potuto e dovuto - ognuno per la propria concorrente parte - ha finito per prendere le necessarie iniziative ed azioni correttive, qualcuno facendo per converso sfoggio di pura tracotanza sotto l’egida del “so tutto io”.
I problemi non erano solo dell’Emilia-Romagna ma erano sparsi sull’intera penisola, non tutte le regioni, tuttavia, hanno le stesse responsabilità perché chi è stato per molti anni alla guida della commissione salute delle regioni è stata per l’appunto proprio l’Emilia-Romagna.
Qualcuno potrebbe dire mal comune mezzo gaudio ma dobbiamo ricordarci che due peccati non fanno una virtù.
A fronte dei sempre crescenti volumi di attività del sistema di emergenza dovuti non tanto all’inefficienza delle cure territoriali ma quanto piuttosto al noto invecchiamento della popolazione e delle correlate cronicità, incrementate in quantità e gravità, oltre che alle insufficienti risorse econimiche per il personale di supporto agli studi di medicina generale, le amministrazioni regionali storicamente hanno scelto da un lato di continuare la logica del j’accuse verso la medicina generale e dall’altro di perseguire una operazione di de-strutturazione organizzativa attraverso la sostituzione funzionale dei medici con altri operatori - meno costosi per le tasche aziendali - tramite azioni di c.d. “Task Shifting”, per le quali sono ben note, nel settore dell’emergenza urgenza, quelle procedure infermieristiche 118 che dovevano rappresentare “il sol dell’avvenire” secondo certi soloni dalle facili ricette, impropinabili senza gli ingredienti di base.
I professionisti ed i cittadini chiedevano più medici in PS, piu’ guardie attive nei reparti a fronte di migliaia di pazienti ma di pochi ambulatori, ma la risposta della Regione e delle aziende sanitarie era quella di organizzare: infermieri flussisti, infermieri triagisti avanzati, infermieri bed managers e attribuire compiti “clinici” e diagnostico terapeutici a professioni sanitarie non mediche nell’ottica del risparmio camuffato sotto l’egida della “valorizzazione delle professioni sanitarie”, valorizzate, ovviamente, a parole ma senza alcun lauto stipendio.
L’arrivo della pandemia da COVID-19 ha lasciato il re nudo, tutto questo castello di carte è di fatto crollato, svelando un contesto di posti letto insufficienti e la conseguente necessità di chiudere e convertire reparti, bloccare le attività ordinarie a favore delle attività COVID e, ovviamente, in particolar modo nell’ambito emergenza urgenza, l’esplosione dei carichi di lavoro per via del dover gestire i diversi flussi tra pazienti tra “sporchi” e “puliti” con figure che svolgevano attività doppie o triple e che a quel punto non potevano piu’ farlo.
Nell’emergenza 118 la problematica risultava di palese evidenza in quei luoghi dove esisteva il cosiddetto “doppio mandato”
Tradotto in parole povere i medici del 118 erano costretti a lavorare contemporaneamente sia nel soccorso in territorio sia in pronto soccorso: in questo modo risultava che nel turno in ospedale ci fossero due medici ma in realtà uno di questi era presente ogni tanto e sempre sotto stress perché costretto ad abbandonare i pazienti che stava visitando per correre sulle emergenze in territorio senza nemmeno avere il tempo fisico di spiegare al collega tutto quello che aveva in carico.
Comprensibile che questo abbia generato soprattutto nei medici più coscienziosi uno stato di malessere lavorativo devastante che ha comportato un elevatissimo turn-over con continui licenziamenti che tuttavia venivano compensati dalla grande quantità di nuovi incarichi che potevano essere assegnati, essendoci ancora medici disponibili e inconsapevoli che con la loro adesione drogavano il sistema oramai assuefatto dallo sfruttamento.
Mantenendo questo elevato ricambio con medici che duravano da pochi mesi a pochi anni all’interno dei servizi di emergenza, il sistema stava aperto, con crolli nella formazione e altri item, ma stava appena appena aperto.
Non solo i medici 118 che sono territoriali, ma anche nell’ambito ospedaliero è avvenuta la stessa cosa e molti ospedali l’unico medico di pronto soccorso viene costretto ad essere anche il medico di guardia nei reparti come se questo potesse essere titolare del dono dell’ubiquità.
La politica gestionale delle aziende sanitarie che hanno attuato questi modelli era quindi sostanzialmente incentrato sul medico “usa e getta”, cioè quel medico che, con o senza titoli, arrivava nel sistema e riusciva a reggere questi carichi di lavoro per qualche mese o qualche anno e che se anche andava via dopo poco tempo nella totale indifferenza del sistema che poteva ancora contare su nuova “carne da cannone” per rimpiazzare le perdite dei medici “macinati negli ingranaggi”.
Il gioco si rompe oggi che “la carne da cannone” nel canale d’ingresso è endemicamente insufficiente e troppo scarsa per far funzionare questo “motore” che presentava quell’enorme enorme falla nella coppa dell’olio continuamente compensata dall’immissione di quel nuovo “lubrificante umano”, oggi esaurito: ed ecco quindi che quel motore ha fuso.
Oggi la Politica è davanti alla scelta di dover decidere se ristrutturare e ricostruire un sistema oramai raso al suolo oppure per contro se perpetrare delle scelte organizzative che noi riteniamo sbagliate ed insostenibili.
Tra i medici ed in particolare tra quelli convenzionati 118 c’è sicuramente la speranza condivisa anche dalla dirigenza delle organizzazioni sindacali, che la politica scelga una ristrutturazione e riorganizzazione seria alla quale tutti vorrebbero partecipare fieri di essere parte del servizio pubblico, ma se la politica oggi scegliesse di perpetrare con le scelte organizzative insostenibili i professionisti hanno ampiamente dichiarato che preferiranno uscire completamente dal servizio pubblico ed eventualmente organizzarsi in forme private meglio nota come “Cooperative” , strumento attraverso cui erogare prestazioni professionali al pubblico standone però all’esterno non condividendone l’organizzazione e le modalità di gestione delle risorse umane.
Come sindacato riteniamo molto pericoloso che, come sta avvenendo, gli iscritti ci chiedano di organizzare cooperative private che consentano il totale distacco dai vincoli contrattuali e convenzionali con le aziende sanitarie a favore di una attività libero professionale non soggetta a rapporto diretto con quelle aziende sanitarie e quelle direzioni con le quali oggi troppi professionisti non vogliono più avere a che fare.
Serve una svolta nella gestione delle risorse umane e quella svolta serve adesso.
Occorre anche educare i dirigenti dei servizi alla gestione di una complessità nelle relazioni coi professionisti, skill inquadrabili tra le soft skill che troppi non hanno o che hanno maturato in un ambiente oramai tossico.
Il punto di partenza è ridefinire le piante organiche e riallocare i contratti rispetto alle proprie funzioni, i medici del 118 devono fare il 118, i medici ospedalieri devono fare i medici ospedalieri, se servono due medici in PS due medici devono essere previsti e dedicati e il trucco di uno che fa due lavori va terminato immediatamente. Se l’ospedale necessita di un medico di guardia questo deve essere dedicato e previsto, solo cosi’ potremo contare su rapporti ottimali certi e attrattività degli incarichi per i medici che ancora volessero lavorare nel pubblico.
SI può andare ad aiutare laddove l'altro si trovi in difficoltà ma non è possibile perpetrare modelli organizzativi di mescolanza iniqua sia sotto i profili economici che sotto i profili organizzativi e di tutela ed è chiaro ormai a tutti che oggi non può essere questo modello della dipendenza pubblica al modello di riferimento dato che da quella con queste regole scappano quasi tutti. Il sistema di questo deve tenere conto dato che non si può sperare che i medici oggi si comportino come i vigili del fuoco che corrono dove tutti scappano.
Dott. Roberto Pieralli
Presidente Regionale - SNAMI Emilia Romagna
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